La Bce lascia tassi invariati, ma riduce il Quantitative easing

Il dimezzamento del Qe potrebbe aprire una fase di difficoltà per l’Italia

“La Banca centrale europea ha lasciato i tassi di interesse invariati. Il tasso principale é allo 0%, quello sui depositi resta negativo allo -0,4% mentre il tasso sui prestiti marginali è a 0,25%”.

Lo comunica la Bce che aggiunge come: “il direttivo abbia ridotto il Quantitative easing, il programma mensile di acquisti, avviato nel marzo del 2015, dagli attuali 60 miliardi a 30 miliardi, a partire da gennaio, estendendone la durata di 9 mesi, fino a settembre del 2018 e anche oltre se necessario. La precedente riduzione era stata decisa a dicembre del 2016, da 80 a 60 miliardi al mese, e la sua durata era stata prolungata fino a dicembre di quest’anno e anche oltre se necessario. Il programma di acquisti andrà avanti finché il direttivo non riscontrerà un durevole aggiustamento dell’andamento dell’inflazione in linea con il suo obiettivo di un incremento dell’indice dei prezzi al consumo prossimo al 2%”.

Il portavoce dell’Eurotower ha anche ribadito che, “se l’outlook dovesse diventare meno favorevole o se le condizioni finanziarie non dovessero essere più coerenti con l’obiettivo del target di inflazione, il direttivo della Bce è pronto a incrementare il programma di acquisti, in termini di entità e durata”.

La Bce inoltre precisa che l’Eurosistema reinvestirà i soldi incassati dalla maturazione delle attività acquistate in base al programma “per un’esteso periodo di tempo dopo la fine degli acquisti e in ogni caso tanto a lungo quanto necessario. Ciò, aggiunge l’Eurotower contribuirà sia a favorevoli condizioni di liquidità sia a un appropriato orientamento di politica monetaria. Infine, la Bce fa sapere che le aste di liquidità a un giorno e le operazioni di rifinanziamento a tre mesi continueranno a essere condotte con procedura d’asta a tasso fisso e a piena aggiudicazione per tutto il tempo che sarà necessario e almeno fino al 2019, lasciando dunque illimitata la liquidità a disposizione delle banche”.

“La ripresa dell’Eurozona resta solida e ampiamente diffusa – ha detto il presidente della Bce Mario Draghi. Non escludo possibili ulteriori sorprese positive”.

COS’E’ IL QUANTITATIVE EASING E PERCHE’ E’ STATO AVVIATO – Il Quantitative easing è uno strumento non convenzionale di politica monetaria espansiva usato dalle banche centrali per stimolare la crescita economica, con lo scopo di orientare l’offerta di credito e i mercati finanziari. La Bce ha avviato il suo programma nel marzo 2015 e oggi, a oltre due anni e mezzo di distanza, lo riduce in modo consistente, avviando il tapering, vale a dire il rientro graduale degli stimoli. Il piano, approvato nel gennaio del 2015 e rivisto nel marzo e poi ancora nel dicembre del 2016, è un programma di allentamento quantitativo, cioé è una delle modalità con cui la Banca centrale immette liquidità nel sistema finanziario. In pratica, la Bce crea moneta a debito e lo fa attraverso iniezioni di liquidità, con operazioni di mercato aperto, tramite l’acquisto di titoli di Stato e di altre obbligazioni. Il programma ha come obiettivo far ripartire il credito delle banche all’economia reale e contrastare i rischi di deflazione, riportando il tasso di inflazione verso il target del 2%. Si tratta di obiettivi in gran parte ma non interamente conseguiti, visto che l’economia dell’Eurozona è ripartita e che l’inflazione è tornata a salire, anche se il target del 2%, quello che definisce la stabilità dei prezzi, non è ancora stato raggiunto.

I TRE PROGRAMMI DI QUANTITAVE EASING – Nel corso di questi due anni e mezzo ci sono stati tre programmi di quantitative easing. Nel gennaio del 2015 la Bce ha approvato il suo primo Qe: il cosiddetto ‘bazooka’, che prevedeva acquisti mensili di 60 miliardi di euro al mese ed era diretto prevalentemente all’acquisto di titoli di Stato. Questo programma è durato fino al marzo del 2016, quando la Bce ha sorpreso i mercati, prendendo una raffica di storiche decisioni, tra cui quella di abbassare a quota zero il Refi, il tasso di rifinanziamento e di abbassare a -0,40% il tasso sui depositi, quello che le banche pagano agli istituti centrali per parcheggiare la loro liquidità. Nella stessa occasione, fu ampliato da 60 a 80 miliardi di euro al mese l’ammontare degli acquisti mensili di titoli, estesi anche gli acquisti agli ‘abs’ e ai ‘covered bond’. La Bce decise inoltre di lanciare un nuovo programma di Tltro, ovvero di prestiti alle banche a tasso agevolato condizionati alla fornitura di credito all’economia. A dicembre del 2016 è scattata la terza fase del quantitative easing. Il direttivo della Bce ha esteso fino alla fine del 2017, “o oltre se necessario”, il programma mensile di acquisti, che da aprile si è ridotto a 60 miliardi al mese. Gli acquisti sono stati estesi anche alle obbligazioni emesse da regioni ed enti locali. A marzo del 2017, infine, la Bce ha confermato l’estensione a tutto il 2017 del Qe e la sua riduzione da aprile a 60 miliardi di euro di acquisti mensili.

I PALETTI DEL QE – Fin dal gennaio 2015 la Bce ha previsto due paletti per il Qe che si sono mantenuti e che riguardano la condivisione del rischio e i limiti sulle operazioni di acquisto. Innanzitutto, l’acquisto di titoli di Stato, fin dal gennaio 2015, viene effettuato, in concreto, dalle banche nazionali dei paesi dell’Eurozona. La Bce è pronta a condividere il peso di eventuali perdite con le banche centrali nazionali per il 20% dei titoli acquistati. Per il restante 80% non c’è quindi condivisione del rischio. Inoltre, le operazioni di acquisto previste dal Qe dell’Eurotower hanno due limiti. In primo luogo, non si può comprare più del 25% dei titoli messi in circolo con ogni emissione. In secondo luogo, non potrà essere acquistato più del 50% del debito pubblico di un singolo paese (questa quota inizialmente era del 33% ed è stata estesa a marzo del 2016)”.

Il dimezzamento del Quantitative easing potrebbe aprire una fase di difficoltà per l’Italia. Gli acquisti mensili della Bce, in questi oltre due anni e mezzo di vita del Qe, hanno rappresentato un’ancora di salvataggio per un Paese come il nostro che detiene un debito pubblico pari a 2.281 miliardi, cresciuto di 63 miliardi nei primi 6 mesi di quest’anno, al ritmo di 10,5 miliardi al mese. In particolare, gli acquisti della Bce hanno aiutato a sostenere la domanda di titoli di Stato, allentando la stretta del credito delle banche.

IN ITALIA AUMENTERANNO GLI ONERI PER LA COPERTURA DEL DEBITO – L’avvio del tapering da parte della Bce, avviene in concomitanza con il graduale aumento dei tassi di interesse da da parte della Fed negli Usa. Queste due mosse tendono a normalizzare la politica monetaria ultra-accomodante delle due principali banche centrali mondiali. Per l’Italia, a medio termine, ciò significherà un aumento degli oneri finanziari per coprire il debito pubblico. Se mettiamo insieme il fatto che la domanda di titoli del debito pubblico diminuirà per via della riduzione del programma di acquisti della Bce, al fatto che ci sarà un innalzamento dei tassi a medio e lungo termine importato dagli Usa, è inevitabile pensare a dei riflessi per l’Italia. L’effetto non sarà immediato, perché il nostro Paese ha iniziato ad allungare le scadenze del debito, ma inevitabilmente ne risentiremo.

I PROBLEMI PER LE BANCHE – Uno dei grandi problemi delle banche italiane, oltre a quello dei crediti deteriorati, è che hanno ancora troppi titoli del debito pubblico nei loro bilanci. In questa fase di transizione in cui il Qe della Bce si ridurrà gradualmente, calerà la domanda di titoli del debito pubblico e, in prospettiva, aumenteranno i tassi a medio e lungo termine, le banche italiane dovranno cedere una parte dei titoli del debito pubblico che hanno in eccesso, soprattutto quelli a medio e lungo termine. In tal modo ridurranno le perdite in conto capitale e potranno capitalizzare le forti plusvalenze che fino adesso hanno maturato, avendo comprato questi titoli in una fase più difficile di quella attuale. Inoltre, con la riduzione del Qe e un aumento dei tassi di interesse, se per le banche verrà un po’ meno la fonte di guadagni proveniente dai titoli del debito pubblico, dall’altra si riaprirà la possibilità di svolgere con maggiori margini di guadagno l’attività tradizionale di intermediazione, perché si riallargherà la forbice tra i tassi di raccolta e quelli di impiego del denaro.

EFFETTI PER I RISPARMIATORI – Lo scenario di un aumento dei tassi di interesse, in prospettiva, può dar spazio per i risparmiatori a investimenti meno rischiosi e a rendimenti più alti. Il problema è rappresentato dalla fase di transizione, quella cioè in cui, andando verso una normalizzazione delle politiche monetarie ultra-accomodanti, possono verificarsi fasi di volatilità dei mercati e un riposizionamento degli investitori.

Condividi