Assemblea Rete Imprese Italia 2018. La relazione della Presidente Patrizia De Luise

Le Imprese? Presenti. Una prova del 9 per il Governo. Le proposte per la crescita.

Quaranta anni fa, oggi, veniva ucciso Aldo Moro.
L’uomo del dialogo e della coesione.
Più che mai, il suo pensiero, oggi, torna di grande attualità.

Buongiorno.
Amiche, amici, Autorità, a tutti Voi un caloroso benvenuto.

Insieme ai colleghi Carlo, Daniele, Giorgio e Giacomo ho il piacere di porgervelo a nome di RE.TE Imprese Italia.Quando abbiamo iniziato ad organizzare questa Assemblea, che ormai da 9 anni si tiene nella prima decade del mese di maggio, eravamo quasi certi di poterci confrontare con un nuovo Governo.

Quanto meno lo auspicavamo e ci speravamo.

Come spesso capita, in corsa, abbiamo dovuto cambiare passo e direzione.

Ci eravamo preparati con uno slogan: “Il Governo alla prova del 9”.

Perché la prova del 9?

Oggi è il 9 maggio.

Questa è la nostra 9a assemblea di RE.TE.

Perché 9 sono le proposte che questa mattina avremmo idealmente consegnato al “Nuovo Presidente del Consiglio” in nome e per conto delle imprese che abbiamo l’onere e l’onore di rappresentare.

Ovviamente il pacchetto del “9” lo consegneremo comunque ad Ettore Rosato, Nicola Molteni e Lorenzo Fioramontiche saluto e ringrazio per la loro disponibilità, se condivideranno ne potranno fare tesoro per il ruolo che i rispettivi partiti avranno nella formazione di un nuovo Governo o per futura campagna elettorale.

E partiamo proprio da qui.

Nei prossimi giorni saremo chiamati come R.ETE, su invito dei Presidentidelle Commissioni Speciali, On. Molteni e Crimi, a dire la nostra sul D.E.F.

Un documento di transizione, una sorta di testimone che il Presidente del Consiglio uscente vorrebbe consegnare al suo successore e che fotografa l’attuale stato del nostro Paese.

Un testimone così scottante che nessuno vuole più accettare?

Parrebbe proprio così.

Eppure, il D.E.F./PadoanGentiloniimporrebbe la necessità di affrontare con urgenza nodi cruciali per il futuro del nostro Paese.

A RE.TE non interessano formule e non presentiamo proposte per come arrivare ad avere un Governo.

Quello che chiediamo al nuovo Parlamento ed ai partiti è di fare la propria parte, nel rispetto di chi li ha votati.

Perchi ha dato loro mandato per migliorare le condizioni di vita, di lavoro e di fare impresa nel Paese.

Al tempo stesso guardiamo ed assistiamo con preoccupazione e stupore ai recenti accadimenti.

Un dialogo difficile, un confronto che non porta a soluzioni, una prospettiva di ritornare al voto con una legge elettorale che potrebbe mantenere un quadro politico di indeterminatezza.

La prossima Legge di Bilancio sarà infatti fondamentale per la prospettiva di crescita del Paese ed il D.E.F. ne dovrebbe tracciare il solco.

L’Italia ha bisogno di una guida, di un Governo.

A breve in Europa dovranno essere prese importanti decisioni.

Un ulteriore indebolimento del nostro peso politico potrebbe portare pesanti conseguenze.

La speculazione finanziaria è sempre in agguato e, finita l’era Draghi, il timore che tutto si complichi è fondato.

Sarà la prima legislatura che si conclude senza essere avviata?

Come dicevo non siamo legati e amanti dei tecnicismi, quello che rivendichiamo come imprese e come cittadini è la formazione di un Governo che abbia forza ed autorevolezza per decidere… e presto.

Al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ci ha consegnato il graditissimo messaggio, va il nostro plauso per lo sforzo e l’impegno con cui ha cercato di trovare soluzioni per la guida del Paese.

Ci sentiamo idealmente al suo fianco e apprezziamo molto il suo lavoro.

Dopo quasi due anni di lento recupero finalmente, nel 2017, l’Italiasembrava avesse imboccato un percorso di sviluppo più sostenuto.

Ilquadro attuale evidenzia invece persistenti fattori di debolezza.

Le stesse previsioni governative, contenute nel DEF appena diffuso, scontano, a partire dal 2018 e fino al 2021, un ulteriore differenziale fra l’Italia ed il resto d’Europa.

Elementi di preoccupazione emergono dai primi dati dell’anno.

Siamo gli ultimi nella crescita in Europa. Non vorremmo essere i primi nella classifica di una nuova recessione.

Senza interventi di politica economica e fiscale – tra cui la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia – la ripresa va verso la frenata.

Secondo le simulazioni condotte dal Cer, tra il 2018 ed il 2021 l’aumento del Pil potrebbe ridursi di 0,7 punti rispetto alle previsioni del Def, per un totale di 11,5 miliardi di euro di crescita in meno.

Nel primo trimestre, l’incremento del Pil è sceso all’1,4%.

Gli indicatori di fiducia delle imprese registrano un arretramento rispetto a un anno fa.

Il credito al settore produttivo continua a ridursi (-2,1% secondo gli ultimi dati).

I consumi interni rimangono al palo.

Anche il quadro internazionale sembra diventare meno espansivo.

La finanza pubblica, anch’essa, va rigenerata.

C’è l’obiettivo di ridurre il deficit di quasi due punti,va disinnescato lo scatto delle clausole di salvaguardia e del connesso aumento dell’IVA.

Serviranno 12 miliardi,già nella prossima legge di bilancio.

Nonostante questo l’obiettivo di una decisa riduzione della pressione fiscale è prioritario.

Il disagio delle famiglie italiane e la competitività delle nostre imprese non possono sopportare un livello di tassazione che continua a collocare il nostro tra i primi cinque d’Europa.

Un significativo ridimensionamento del prelievo dovrà tuttavia confrontarsi con i vincoli che riducono gli spazi a disposizione della politica fiscale.

I nodi vengono prima o poi al pettine.

Un impiego esasperato delle clausole di salvaguardia IVA pone ora a chi governerà fondamentali decisioni.

Le clausole di salvaguardia dominano dal 2011 il palcoscenico della finanza pubblica.

L’assunzione dell’impegno ad adottare determinati provvedimenti di spesa o di entrata, fatta salva la possibilità di sostituirli con misure di pari importo.

Uno schema che ha finora consentito di “tranquillizzare” l’Europa, garantendo solo formalmente il rispetto degli obiettivi di bilancio.

Ciò ha permesso di recuperare margini di flessibilità aggiuntivi nella programmazione dell’intervento pubblico.

Ma è come se un’impresa che deve tagliare i costi li compensasse con maggiori future entrate!!

Nel caso dell’impresa la consegna dei libri in tribunale diverrebbe obbligata.

Ed i libri dell’impresa Italia a chi li consegnamo??

A distanza di sette anni, il sistema delle clausole appare confinato in una realtà virtuale, estranea alla funzione di garanzia dell’istituto.

Tagli di spese o aumenti di tributi, posti a garanzia di una manovra appena varata, finiscono per essere regolarmente “sterilizzati” nell’arco di pochi mesi.

Prima con l’annuncio che le penalizzazioni previste dalla clausola non troveranno comunque applicazione.

Poi sostituendole con misure temporanee o con richieste di maggiore flessibilità all’Europa.

Un cerino acceso che passa di manoin mano.

E prima che qualcuno si bruci qualche interrogativo va posto.

Il primo riguarda le finalità di un istituto che, come abbiamo visto, è più un mezzo virtuale che nonuno strumento utile a garantire gli obiettivi di bilancio.

Un secondo interrogativo attiene agli effetti che le clausole di salvaguardia potrebbero avere.

Quello che emerge dalle manovre di finanza pubblica degli ultimi quattro anni appare inequivocabile: quasi un quarto delle maggiori entrate nel primo triennio di attuazione di ciascuna manovra sono riconducibili all’introduzione di clausole di salvaguardia.

Circa 97 miliardi sui 210 miliardi di minori entrate complessive risultano gli effetti dovuti alla cancellazione totale o parziale di clausole di salvaguardia.

C’è infine un terzo interrogativo e riguarda gli effetti che l’introduzione e la cancellazione di una clausola di salvaguardia possono avere sulle decisioni delle famiglie e delle imprese.

A famiglie e mondo produttivo non può risultare indifferente né rassicurante sapere che fra pochi mesi occorrerà fare i conti con un aumento automatico delle imposte.

A partire dal 2019 e nell’arco di un biennio, crescita di tre punti sia dell’aliquota Iva ordinaria (fino al 25%) che di quella intermedia (fino al 13%).

Diventa allora legittimo chiedersi senon sarebbe saggio smontare del tutto le clausole di salvaguardia.

Accantonando ogni ipotesi di aumento delle aliquote Iva e realizzando concretamente quella spending review che era l’obiettivo originariamente perseguito dal legislatore.

Non accettiamo più di essere ingannati.

Lo si sappia.

Non meno urgente si presenta,per le imprese, il nodo del fisco locale.

Si è registrato un significativo aumento dei tributi di competenza degli enti territoriali.

  • miliardi di crescita negli ultimi venti anni.

Un balzo di quasi il 68%, una volta e mezzo le entrate del fisco centrale;

  1. un contributo determinante (i tre quinti) alla crescita della pressione fiscale complessiva;
  2. un aumento di quasi quattro punti della quota delle entrate locali su quelle dell’intera pubblica amministrazione (dal 5,1 per cento del 1999 al 5,9 per cento del 2017).

Con l’insorgere di non secondarie distorsioni del prelievo a livello territoriale.

Regole tributarie territorialmente differenziate hanno comportato, costi amministrativi più elevati per le imprese.

Per una prospettiva di ripresa duratura dell’economia italiana occorrono politiche a misura delle micro, piccole e medie imprese.

Le MPMI italiane rappresentano, infatti, la spina dorsale del tessuto produttivo del nostro Paesein cui svolgono un ruolo di protagonisteche non può e non deve essere ignorato.

Le imprese italiane fino a 10 addetti sono infatti più di 4 milioni, il 95% del totale delle imprese.

Un tessuto che deve costituire il fulcro di qualsiasi politica di rilancio e di crescita dell’intera economia nazionale.

Non ci può essere sviluppo senza dialogo interattivo tra attori politico istituzionali e imprese.

Il futuro dell’Italia, infatti, si gioca sulla sua capacità di accogliere e rendere operativo il cambiamento.

Se si vuole, si può continuare a chiamare questa meta “maggior sostenibilità economica e sociale”.

Sugli strumenti per ottenerla non ci sono dubbi: servono cioè luoghi e interfacce funzionali che facilitino il raggiungimento di questo obiettivo.

Ad ognuno il proprio compito.

I partiti, le istituzioni, le associazioni di impresa, i sindacati, in una società civile, ed evoluta rappresentano punti di riferimento fondamentali per garantire piena democrazia.

Ognuno per quanto gli compete deve sapere rispondere alle esigenze di cittadini, imprese, lavoratori ed essere aperto al confronto e al dialogo.

Solo così si possono porre solide basi per la crescita.

L’Italia potrà essere ancora un grande Paese europeo e occidentale, dentro l’Unione Europea e dentro l’Euro, se e soltanto se:

  • la crescita del PIL, trainata dall’innovazione tecnologica, dalle esportazioni e dalla ripresa della domanda interna dal consolidamento dell’offerta turistica, riprenderà a ritmi più sostenuti dei nostri competitors di riferimento.
  • se verrà riportato sotto controllo il debito pubblico;
  • se si ridurranno gli squilibri centro-periferia, di cui il divario nord sud e l’inefficienza della giustizia sono i corollari più significativi.

Decisamente una bella sfida.

Da qui, ecco la nostra prova del 9.

Fisco

Un aumento dell’IVA, in questa fase, potrebbe cadere come un macigno sulla crescita, una stangata che potrebbe portarci a bruciare oltre 23 miliardi di euro di consumi delle famiglie.

Allo stesso tempo, bisogna agire per ridurre e rendere più equo il prelievo fiscale già esistente, centrale e locale.

Un prelievo mostruoso, che va oltre il 60% del reddito prodotto.

Interventi di politica tributaria sono ormai ineludibili, come la riforma dell’Irpef che semplifichi e riduca il prelievo.

Le PMI hanno bisogno, per tornare a correre, anche dell’allargamento dell’area di esenzione dell’Irap, dell’esclusione dall’IMU degli immobili strumentali e dell’introduzione dei canoni concordati a cedolare secca per i locali destinati alla produzione o alle attività commerciali.

Vanno definite regole chiare per chi opera sul web.

Web tax ed azioni efficaci contro concorrenze sleali e abusivismo vanno decisamente previste.

Burocrazia

Per sbloccare lo sviluppo, dobbiamo agire anche sulla zavorra della burocrazia, che ogni anno costa alle nostre imprese 22 miliardi di euro.

La nostra legislazione è una macchina troppo complessa, priva di certezze nei tempi e dai costi eccessivi, che dobbiamo semplificare.

Alcuni strumenti ci sono già, e vanno solo applicati. Penso allo Statuto delle imprese e ai suoi obiettivi, rimasti sinora lettera morta.

Giustizia efficace

Tra gli obiettivi di semplificazione, c’è anche la necessità di una giustizia più certa e rapida. I processi civili non possono durare, in media, 991 giorni. È un’enormità, soprattutto se si considera che ogni anno si aprono circa 500mila contenziosi.

Molte imprese – ed è un caso lampante quando si arriva sul piano internazionale – rinunciano ad investire proprio a causa del clima di incertezza creato da ritardi ed inefficienze sul piano della giustizia.

Il costo dell’inefficienza e dei ritardi, è particolarmente salato per le imprese più deboli, a volte costrette a chiudere e fallire per “mancata giustizia”.

Più credito alle imprese

Tra le questioni strutturali da risolvere prioritariamente c’è anche la carenza di credito, motore degli investimenti – e quindi dello sviluppo – delle PMI. Dal 2011 ad oggi, il credito bancario alle imprese è diminuito del 20%.

Un vero crollo, che ha inciso particolarmente sulle prospettive di crescita, visto che quello bancario è il canale principale di finanziamento delle PMI in Italia.

Bisogna attivare strumenti di finanziamento alternativi, puntando sull’innovazione: negli altri Paesi europei è stato già fatto.

Allo stesso modo, sarebbe opportuno anche nel nostro Paese individuare supporto asostegno al sistema dei Confidi.

L’unico che nella fase della recessione ha sorretto le imprese.

Innovazione e competitività

Siamo convinti che la competitività delle imprese e del Paese passi proprio attraverso la diffusione dell’innovazione.

Un’innovazione che va intesa in senso allargato, non solo come ricerca e investimenti in tecnologia.

L’obiettivo è che gli imprenditori inizino a pensare in digitale.

Serve una rivoluzione culturale, che va favorita consentendo a tutti gli imprenditori di accedere ad incentivi alla formazione.

In questa direzione, il piano Imprese 4.0 è uno sforzo significativo, ma che incide solo su una parte del sistema produttivo nazionale, e che rischia di tagliare fuori le imprese più piccole ed il terziario privato.

Va reso più inclusivo, aumentando le risorse: le incentivazioni fiscali devono poter essere accessibili ad ogni impresa, a prescindere dalla dimensione.

Internazionalizzazione, made in Italy e turismo

L’innovazione è una partita decisiva anche per il turismo, uno dei settori più dinamici della nostra economia, che va posto in cima alle priorità della strategia dello sviluppo.

Il Piano turismo, approvato dal Consiglio dei Ministri esiste già, ma va attuato. Tenendo presente che sarà poco efficace se non si istituirà un Fondo per le MPMI turistiche per sostenere i loro processi di innovazione.

Il made in Italy è un bene primario da tutelare e promuovere.

Valorizza la nostra economia ed è un motore della nostra esportazione.

Lavoro

Di fondamentale importanza, per tutte le imprese, è invece non fare passi indietro sul lavoro: il Jobs Act ha introdotto novità importanti, condivise e necessarie.

Per questo diciamo no all’introduzione del salario minimo per legge ma anche ad ulteriori riduzioni alla durata dei contratti a tempo determinato; chiediamo anzi di individuare un regime che regoli meglio il lavoro occasionale, orfano dei voucher.

Anche per quanto riguarda la Previdenza, gli imprenditori non chiedono di abolire la riforma Fornero, ma di disporre di strumenti che rendano più flessibile e certo l’accesso alle prestazioni.

Serve quindi la possibilità per i dipendenti di accedere al pensionamento anticipato in attuazione dell’Ape aziendale, consentendo ai datori di lavoro di sostenere i lavoratori in questo percorso.

Formazione

Ogni sforzo sul piano del lavoro, però, sarà reso nullo se non faremo progressi anche sul fronte della formazione.

L’economia di oggi è un’economia delle competenze: bisogna dunque incentivare, non contestare, l’alternanza scuola-lavoro, investendo su ITS e lauree professionalizzanti, per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo dell’occupazione.

La formazione è un elemento chiave anche per le piccole attività: per questo va ripristinato lo sgravio contributivo del 100% nei primi tre anni del contratto di apprendistato per le imprese con meno di dieci dipendenti.

Ma anche pensiamo agli imprenditori.

Ne sono usciti dal mercato del lavoro oltre 630mila in 10 anni.

Una formazione continua anche per gli imprenditori non è più rinviabile.

Una nuova Europa

Le vicende della crisi finanziaria globale e di quella dei debiti sovrani, nonché la durata e la gravità della recessione, hanno mostrato i forti limiti di una costruzione europea rigida in diversi ambiti, importanti per i cittadini e le imprese.

È opportuno un ripensamento sul funzionamento complessivo dell’Unione affinché:

  1. vi sia un più incisivo intervento dell’Europa sui temi che hanno una portata che va oltre i confini degli Stati (come la sicurezza, l’immigrazione, le dogane, il commercio elettronico, ecc.);
  2. per i temi con valenza principalmente nazionale, l’Europa delinei i principi guida, lasciando ai singoli Stati membri il compito di definire il quadro regolatorio più idoneo per ciascun territorio; (la vicenda Bolkestein evidenzia un mostruoso paradosso).
  3. la nuova dimensione sociale che si va facendo strada nell’agenda europea non può non tenere conto delle politiche di welfare storico dei singoli Stati membri e semmai supportare programmi comuni attraverso fondi dedicati, evitando di imporre nuovi paradigmi.

Ho tenuto e serbato questa cosa alla fine.

Noi tutti abbiamo un dovere, come cittadini, come dirigenti di Associazioni, come politici, come uomini e come donne.

Non pensiamo a noi, ma pensiamo al futuro del Paese.

Ai nostri figli, ai loro figli.

Lavoriamo per renderlo migliore.

Un paese giusto, dove tutti possano studiare e lavorare in un ambiente sano e solidale.

Ed io come presidente donna di Associazione ho un dovere in più.

Diamo alle donne e permettiamo alle donne di essere e vivere alla pari.

Stesse opportunità nella scuola, nell’impresa, nel lavoro, nella società.

Stessi oneri, stessi doveri per essere tutti migliori.

Condividi