Giustizia: Confesercenti da Bonafede, in Italia processo civile dura 8 anni

Necessario accelerare, ma accorciare i termini non basta.

Serve riforma organica. Nei Tribunali delle imprese anche 1.000 giorni per una sentenza. Importante intervenire, ma attenzione alla qualità. Limitare l’utilizzo delle nuove regole ai processi minori 

L’Italia ha bisogno di un intervento che razionalizzi, semplifichi e, soprattutto, dia speditezza alle procedure giudiziarie: in media, la chiusura di un processo civile necessita di poco meno di 8 anni, laddove ne bastano 2 negli altri grandi paesi europei, un quarto del tempo impiegato in Italia. Ma perché l’intervento funzioni, non è sufficiente fissare termini più stringenti: serve una riforma organica.

Così Confesercenti, in occasione dell’incontro con il Ministero della Giustizia Alfonso Bonafede sulle riforme processuali approvate dal Governo.

Riforme che devono necessariamente imprimere un’accelerazione al funzionamento della giustizia. Che, oltre ad essere più lenta rispetto ai nostri competitor, soffre anche enormi divari territoriali: sempre considerando i processi civili, si registrano differenze di durata media che arrivano fino a 3,5 anni tra una Regione e l’altra e addirittura 16 anni tra una Provincia e un’altra. Un passaggio importante a tutele del sistema delle PMI era parsa l’istituzione dei Tribunali delle imprese. Una soluzione molto attesa dal mondo imprenditoriale, ma che al momento è rimasta al di sotto dei risultati sperati, con un tempo medio per arrivare alla sentenza che è progressivamente scivolato verso i 1000 giorni.

La lentezza dei processi è un problema strutturale per la crescita di tutto il Paese. La sicurezza e la giustizia devono essere considerate fattori dello sviluppo economico, perché condizionano i comportamenti di famiglie e imprese. Dove la percezione di sicurezza è bassa, vengono scoraggiati i consumi e depressi gli investimenti.

Per arrivare ad una giustizia più veloce ed efficiente, però, servono riforme complessive del sistema. Non basta cercare di ottimizzare il funzionamento dei processi ‘accorciando’ i termini: il rischio è di comprimere eccessivamente il contraddittorio ed i diritti della difesa, compromettendo la qualità dei processi. Per questo chiediamo che i nuovi meccanismi vengano limitati a processi di valore non superiore a determinati importi, tendenzialmente non particolarmente elevati. Attendiamo, inoltre, di capire meglio quale siano le indicazioni per il decreto che unificherà i procedimenti per l’impugnazione dei licenziamenti. Riteniamo necessario, inoltre, intervenire con maggiore forza sugli organici, la cui esiguità pare stare alla base del malfunzionamento dei meccanismi di giustizia, e anche sulla digitalizzazione. Da questo punto di vista apprezziamo la previsione del deposito telematico di documenti ed atti, ma si può e si deve fare di più: la tecnologia può aiutare a recuperare efficienza e ad accorciare i tempi della giustizia, senza comprometterne il funzionamento.

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