La Iarc inserisce carni rosse lavorate nel gruppo delle sostanze cancerogene

Gli oncologi italiani e la comunità scientifica ribadiscono che è l’abuso che fa male.

L’ OMS inserisce le carni rosse e insaccate  tra gli agenti cancerogeni. Fiesa Confesercenti: dati vecchi, in Italia consumi sotto la media di quelli considerati pericolosi e produzioni di qualità certificata. Il Ministero della Salute e l’Autorità europea della sicurezza alimentare facciano chiarezza. Bisogna garantire sicurezza e corretta informazioni. Evitare allarmismi è il primo obbligo verso i cittadini.

L’Agenzia  Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha inserito alcuni tipi di carne tra le sostanze che possono  provocare il cancro. Soprattutto gli insaccati che sono stati inseriti nel gruppo tra quelli a più alto rischio. Ma gli oncologi italiani, con il loro Presidente Pinto, e la comunità scientifica ribadiscono che non è il caso di fare allarmismi, anche perché viene ribadito un concetto già noto: è l’abuso che fa male, come per tutti gli alimenti serve equilibrio e moderazione.

Nel caso italiano è stato ribadito che i consumi pro capite sono abbondantemente sotto la soglia indicata come pericolosa, attestandosi intorno ai 25 grammi giornalieri. Le produzioni nostrane poi si caratterizzano per la bassissima presenza di grassi e additivi, indicati tra i principali agenti cancerogeni. Inoltre le produzioni italiane fanno riferimento ad una lunga e consolidata storia gastronomica che vede nella salumeria italiana un punto di eccellenza. Il nostro è tra i principali paesi produttori di salumi a denominazione protetta e controllata, riconosciuti e tutelati dall’Unione europea, i cui disciplinari di produzione sono sotto la sorveglianza del Ministero delle Politiche Agricole, oltre che ai severi controlli della medicina veterinaria pubblica. Questi prodotti sono tra i principali animatori dell’Expo 2015 di Milano, nutrire il pianeta, energia per la vita, la cui carta è stata redatta da esperti e rappresentanti della comunità scientifica di fama mondiale. Le piccole produzioni italiane tipiche rappresentano carni di alta qualità e ad elevati contenuti nutrizionali che si accompagnano ad una attenta azione di trasformazione, vigilata e controllata.

Nessun allarmismo, dunque, come hanno sottolineato anche alcuni degli studiosi dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro che hanno sostenuto di mangiare essi stessi le carni, con un consumo moderato (cfr. prof.ssa Giovanna Caderni sul Corriere della Sera  del 27 ottobre us) affermando che serve come sempre buon senso e cautela.

Anche la stampa nel suo complesso ha trattato la questione con equilibrio. Senso di responsabilità hanno mostrato le associazioni dei consumatori, Federconsumatori in testa che chiesto maggiori informazioni e cautela, evitando inutili e facili allarmismi.

Il rischio evidente e da scongiurare in questi momenti è, infatti, proprio l’allarmismo che potrebbe abbattersi sui prodotti a base di carne, mettendo ingiustamente in difficoltà intere filiere produttive  e centinaia di migliaia di posti di lavoro in crisi, oltre a mettere in discussione una storia millenaria di lavorazioni delle carni che hanno portato l’umanità agli attuali livelli di benessere  psico-fisico, facendo crescere longevità ed aspettative di vita. Senza trascurare che l’Italia nell’alta salumeria è tra i paesi leader
Assomacellai e Fiesa Confesercenti hanno immediatamente manifestato tutta la propria preoccupazione nei confronti di questa presa di posizione, peraltro non nuova,  che rischia effettivamente di ingenerare allarmismo e danneggiare il paese, in assenza di elementi che evidenzino le diverse specificità delle aree coinvolte. La notizia, non nuova, appare decontestualizzata, generica e per molti versi contestabile.
La pubblicazione anticipata  sulla rivista scientifica Lancet Oncology va dal punto di vista di Assomacellai e Fiesa Confesercenti  invece inquadrata all’interno di una valutazione che non comprende dati scientifici innovativi rispetto alla ricerca e nel contesto di una comunità scientifica che continua ad esprimere posizioni in materia assai diverse, sostenendo invece il dato della sua necessità per  l’assunzione di  proteine e vitamine e ferro oltre ad altre sostanze necessarie all’organismo, soprattutto in alcune fasce d’età. In questo senso, bisogna sottolineare gli stili di vita, la necessità di dar luogo ad una dieta equilibrata, ad un arricchimento della dieta mediterranea.

Lo studio invece, ma anche e giustamente, avendo un impatto universale, tiene conto di una complessa varietà di  campione fortemente influenzata da diete significativamente orientate alla presenza di grassi e a tradizioni produttive diversamente attente agli stili di vita. Bisogna infatti contestualizzare lo studio e sapere a quali produzioni sono state prese in esame e quali aree sono state interessate, per capire di cosa si sta parlando; sono dati essenziali per valutare la reale portata dello studio ivi inclusi i consumi reali dei soggetti analizzati e i metodi di produzione che non sono certo peculiari nella produzione italiana di carni bovine e suine e dei prodotti di salumeria che non privilegiano grassi e abbondanza di additivi.

E’ per questo che per la tranquillità dei consumatori italiani, e per quelli delle produzioni italiane, il Ministero della Salute e l’Autorità europea della sicurezza alimentare non possono non chiarire i reali termini della questione.

Allo stesso tempo proprio per rafforzare il concetto di qualità e tracciabilità delle produzioni, che non sono tutte uguali, occorre invece proseguire con l’etichettatura obbligatoria di tutte le carni lavorate, includendo su tutti i prodotti l’origine dei paesi anche dei prodotti semilavorati e i luoghi degli stabilimenti di produzione: questi sono elementi connotativi e di identità che possono fare la differenza, com’è giusto che sia per i cittadini e i consumatori.

 

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