Dimenticati i dipendenti e titolari dei negozi di abbigliamento di vicinato che hanno chiuso con l’avvento dell’e-commerce
Ma chiede alle istituzioni di non dimenticare i tanti dipendenti e titolari dei negozi di vicinato che negli ultimi anni anche a Bologna e Area Metropolitana hanno chiuso a causa della concorrenza sleale di tanti multinazionali dell’e-commerce che commercializzano non line abiti, scarpe e accessori.
“Quando un lavoratore, sia esso dipendente che piccolo imprenditore, perde il proprio posto di lavoro – sostiene Confesercenti Bologna – è sempre un danno per la società, sia a livello economico che sociale. Una persona che ha un reddito sicuro, anche da lavoratore dipendente, è una garanzia per il Pil (Prodotto interno lordo) di una città, una regione o uno stato. Crea ricchezza anche per i settori del commercio e dell’artigianato, stabilità al bilancio del Comune e dello Stato, sicurezza nel vivere civile di una città.
Senza lavoro perde il suo potere di acquisto e, senza volerlo, crea un danno all’economia, instabilità nella gestione dei conti pubblici, insicurezza nei rapporti sociali, ed è giusto che sindacati e istituzioni si battano per i lavoratori Yoox a tutti i livelli”.
“Ma come mai – prosegue Confesercenti Bologna – la stessa attenzione non viene dedicata alla chiusura di un negozio di abbigliamento, di scarpe o accessori sotto casa? Nella chiusura di un negozio i posti di lavoro che si perdono sono sempre più di uno. A lavorare dietro al bancone c’è una famiglia di 2, 3 e anche 4 persone e, spesso, affiancate da una o due commesse.
Negli ultimi anni almeno i 5-600 posti di lavoro sono sati persi per chiusura di piccole attività del settore abbigliamento, senza che dal punto di vista mediatico e politico nessuno si ponesse i problemi che giustamente oggi si pone al centro dell’attenzione anche mediatica”.
“Contro i negozi di vicinato – conclude Confesercenti – c’è stata sempre una concorrenza subdola e sleale. La concorrenza delle grandi piattaforme di vendite on line, soprattutto nel settore dell’abbigliamento, che sempre più spesso, hanno sede in paradisi fiscali, anche d’Europa, dove pagano le tasse al 7%, contro il 43% cui sono sottoposti i negozi bolognesi e italiani, senza che nessuna istituzione si ponga il tema delle pari condizioni di mercato, ma anzi usando un principio liberale come merce di scambio in materia di dazi”.