In questo percorso Erika Morselli si è affidata a Confesercenti Grosseto per tutti i servizi necessari
È stata una scelta del cuore quella che ha portato Erika Morselli a trasferirsi da una città dell’Emilia Romagna, in provincia di Modena, ad una piccolissima realtà come Monticello Amiata, frazione del comune di Cinigiano. Una realtà economica e sociale differente che ha da subito affascinato sia lei che il marito.
«In realtà io Monticello Amiata l’ho scoperta prima ancora di sposarmi con lui. È stato un caso, nel 2016. E dal momento in cui ho appoggiato a terra le valigie mi sono subito integrata e sentita a casa. Ho fatto amicizie che si sono consolidate da subito, tanto che sono tornata a più riprese negli anni. Ogni volta che ho potuto. Tornavo per la festa della castagna, una settimana in cui il paese prende vita. Poi per ritrovare gli amici e dare una mano. Nel 2018, durante un viaggio itinerante, ho portato mio marito che ha condiviso il mio innamoramento, e abbiamo deciso di cercare casa».
Erika ricorda la vita “di prima” «Ho lavorato per 15 anni come sindacalista della Cgil. Poi nel maggio 2018 ho scelto di rientrare in fabbrica. Nel frattempo però si era fatta strada l’idea di trasferirsi. Ma non è mai stato un salto nel buio: mio marito ha trovato lavoro già mentre cercavamo casa. Io sono entrata in disoccupazione e ho iniziato a fare alcuni corsi e poi alcuni lavori. Quando è arrivato il Covid il bar del paese ha chiuso. Ho deciso di rilevarlo».
In questo percorso Erika Morselli si è affidata a Confesercenti Grosseto per tutti i servizi necessari, dall’avvio della partita iva, alla pratica per ricevere il credito necessario. Attualmente è componente della presidenza provinciale della Fiepet Grosseto, il sindacato dei pubblici esercizi aderenti a Confesercenti.
«In paese ci sono due ristoranti e due bar. L’attività da un punto di vista della sostenibilità economico-finanziaria è sana, nonostante i costi di personale spropositati: il problema è proprio la difficoltà a trovarlo, questo personale».
Sino a primavera Erika aveva dipendenti che aveva formato, «ora, per varie vicissitudini, siamo rimasti in due: una che fa l’orario centrale e io che faccio apertura e chiusura con l’aiuto di mio marito. La sera chiudo spesso tardi e la mattina sono di nuovo lì. Fino a maggio invece avevo una dipendente a tempo determinato, un’apprendista e un apprendista stabilizzato a tempo indeterminato».
Purtroppo è proprio la ricerca di personale il punto dolente: «Mi servirebbe una persona giovane, tra i 18 e i 29 anni, per un contratto di apprendistato, per le ore pomeridiane e/o serali». Una situazione che, specie nei piccoli borghi dell’Amiata è molto frequente. Servirebbe personale locale, visto la distanza dai centri più grandi, così che lo stipendio non vada via in benzina, ma da questi piccoli centri i giovani vanno via, le case si spopolano e a vivere sul posto restano, molto spesso, solo gli anziani. Un problema serio quello dell’invecchiamento della popolazione. L’entroterra è interessato da un inverno demografico che non vede primavera. Un cane che si morde la coda: la gente se ne va perché non ci sono servizi, di contro, non c’è personale che questi servizi possa “tenerli in piedi”.
«Il mio barrettino è un’attività che da vita a tutto il paese: faccio stampe, ufficio oggetti smarriti, organizzo iniziative con cui non sempre vado in pari per offrire qualcosa a chi vive qui: aperitivi con concerti e dj set, presentazioni di libri, feste di compleanno. Purtroppo non è un negozio di vicinato e quindi non posso neppure accedere a certe risorse». «Le persone da noi stanno bene, e io non ho mai saltato uno stipendio. Tra l’altro la paga cresce nel corso dell’apprendistato e gli ultimi mesi è equiparata a uno stipendio operaio. Ma ha sgravi contributivi che ci consente di “starci dentro” perché costa un terzo rispetto ad un operaio già esperto». «Il brutto di vivere al nord – ricorda Erika – è che hai retribuzioni medio alte ma i tempi di lavoro si portano via la tua vita: non hai tempo per fare altro, neppure per metterti ai fornelli. Questa, di Monticello, è una realtà bellissima, ma vedere che chi ci vive non riesce a metterne a frutto le potenzialità dispiace. Mi piacerebbe ci fosse più collaborazione, anche con le altre attività».
Tra l’altro, non trovando personale, i ritmi di lavoro diventano insostenibili «e si perde tutto il bello di vivere qui. Sto pensando addirittura di chiudere l’attività, tornando ad essere dipendente, perché da sola non ce la faccio. Così facendo però verrà meno anche un servizio essenziale per la piccola comunità di Monticello Amiata».