Inflazione: Confesercenti, consumi interni grande malato economia

Si conferma stagnazione prezzi

Nulla di buono sul fronte dei prezzi del mercato interno. Nonostante il lieve incremento dell’indice dei prezzi al consumo registrato a febbraio, nel complesso la situazione sul versante inflazione conferma la tendenza alla stagnazione.

Così Confesercenti commenta i dati preliminari sui prezzi di febbraio diffusi oggi da Istat.

La lieve crescita dopo due mesi di frenata è dovuta, di nuovo, alle componenti più volatili, in particolare fresco alimentare e beni energetici non regolamentati, cui si aggiungono stavolta i tabacchi. Ma l’inflazione di fondo resta stabile e ad un valore “contenuto”, come indica lo stesso Istituto di statistica, pari allo 0,5%.

Il quadro di questi mesi – ma potremmo dire tranquillamente degli ultimi dieci anni – continua quindi ad essere segnato da una bassa inflazione, con i consumi interni che restano il grande malato della nostra economia. Dall’aggiornamento recente delle previsioni macroeconomiche elaborate da Cer per Confesercenti, infatti, per l’anno in corso la crescita della spesa si fermerà ad un massimo di +0,4%, la metà dell’aumento stimato per il 2019 dal governo (+0,8%), per un totale di 3,6 miliardi di euro di consumi in meno. Il risultato peggiore degli ultimi cinque anni. Se dovessero scattare le clausole di salvaguardia, lo scenario sarebbe ben peggiore e queste già deboli prospettive rischierebbero di deteriorarsi ulteriormente: se dal 2020 dovessero scattare gli aumenti dell’IVA l’impatto potrebbe essere tale da annullare del tutto le misure di espansione del reddito adottate dal governo. Secondo le nostre stime se attivate, le maggiori aliquote IVA provocherebbero nel prossimo biennio una riduzione di 10 miliardi della spesa delle famiglie. Un effetto più che proporzionale rispetto ai 6 miliardi di maggiori consumi che nel 2020-21 sarebbero associati dell’andata a regime del Reddito di cittadinanza”.

Bisogna quindi evitare in tutti i modi gli aumenti dell’Iva che deprimerebbero ancora di più la domanda delle famiglie, ma anche l’eventuale scambio di questi con una riduzione dell’Irpef, che comunque rappresenterebbe un elemento di confusione e non sarebbe una riduzione della pressione fiscale, che invece potrebbe servire a ridurre l’incertezza e a rilanciare la spesa.

 

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