La Repubblica su Liberaladomenica: “È festa, sto con i miei figli” la battaglia della domenica che divide aziende e famiglie

FORSE Papa Francesco non lo sa, ma venerdì pomeriggio, a Milano, si è parlato molto di lui in via Albricci, dove erano riuniti i vertici nazionali di Federdistribuzione. Dopo il decreto Salva Italia del gennaio 2012, che ha reso del tutto libere le aperture domenicali nel commercio, sono nati movimenti e iniziative legali contro il lavoro sette giorni su sette, come quella promossa tra gli altri dalla Cei e da Confesercenti, Liberaladomenica. E la telefonata del Pontefice a un commesso di Venezia che insieme alla moglie milita nel movimento “Domenica No Grazie” (il loro bambino si era lamentato di non poter mai passare i giorni festivi con mamma e papà) non è passata inosservata ai big di ipermercati e centri commerciali. «Il nostro consociato veneto coinvolto nella vicenda ha ricordato di aver invitato quei genitori a portare il figlio al lavoro con loro, perché già da tempo le fasce orarie e i giorni di apertura sono pensati per rispettare i diritti di tutti», dice Giovanni Cobolli Gigli, presidente della Federazione. Che aggiunge: «Grazie al decreto Salva Italia del gennaio 2012, la grande distribuzione ha firmato 4200 assunzioni a tempo determinato, perlopiù rivolte a giovani, e pagato circa 400 milioni. Ci dicano se è poco, in un momento come questo». I dati sul risultato in termini di consumi dei negozi aperti la domenica sono controversi: da un lato ci sono i grandi operatori, per i quali soltanto grazie alla formula sette giorni su sette si è potuto recuperare quasi un due per cento sulle vendite, che altrimenti sarebbero scese ben oltre il -2,2 del 2012. Dall’ altro ci sono quelli di associazioni come Confcommercio e Confesercenti, che sventolano altri numeri: oltre centomila piccoli esercizi, anche nel 2012, hanno abbassato la saracinesca in Italia: «Le aperture selvagge non fanno che aumentare il divario tra grandi e piccoli, ci vogliono accordi locali in territori omogenei, come le città metropolitane », dice Stefano Papini, presidente diConfesercenti a Torino. Aggiunge Elisabetta Mesturino della Filcams-Cgil: «Da quando il decreto è in vigore, abbiamo cercato di sensibilizzare iconsumatori, perché senza di loro non vi sarebbe ragione di tenere aperto e di creare un esercito di “schiavi della domenica”». Ma i flash mob di commesse in mutande e le proteste di chi vorrebbe restare a casa non sembrano così popolari, se è vero che il 39 per cento di chi compra la domenica ha ormai inserito la spesa festiva tra le sue abitudini, come dice la ricerca che Federdistribuzione ha affidato a Ipsos, e un’ altra (mai pubblicata) secondo la quale anche i più giovani tra i dettaglianti (cioè tra quei piccoli negozi che sarebbero schiacciati dalla liberalizzazione) vorrebbe lavorare la domenica. E mentre colossi del beauty come Sephora si battono per tenere alzate le saracinesche fino a mezzanotte, a partire da Parigi (è a quell’ ora che i grandi clienti arabi preferiscono fare i loro acquisti), i dati dicono che chi compra abbigliamento sportivo, arredi per la casa o cibo di qualità (come da Decathlon, Ikea o Eataly) lo fa la domenica, in tutta tranquillità, e in modo aggiuntivo rispetto al suo normale budget di spesa. Ora la decima commissione parlamentare della Camera sta esaminando proposte di legge che vogliono restituire il potere alle Regioni, o quanto meno abbassare il numero di domeniche di lavoro, in un’ estenuante trattativa che va da 16 a 32. Ma Cobolli Gigli avverte: «Confidiamo che non si vorrà cambiare una legge che funziona. In caso contrario, faremosentire la nostra voce»

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