Istat: Confesercenti, a marzo crolla fiducia dei negozi, ai minimi da tre anni

Settore in difficoltà: nel 2017 sparite 27 imprese al giorno, no a IVA e allargare il credito d’imposta

Per le imprese del commercio tradizionale, il calo di fiducia registrato dall’Istat a marzo è un vero crollo: l’indice perde oltre 4 punti, la riduzione più significativa tra le imprese, passando da 104 a 99,9, il livello minimo registrato dal settore negli ultimi tre anni. Un peggioramento dovuto in primo luogo al ritorno in territorio negativo delle vendite – calate anche a gennaio (-2,3%) – e del timore degli esercenti che si tratti di un trend destinato a proseguire.

Così l’Ufficio Economico Confesercenti sui dati Istat sul clima di fiducia a marzo.

Nonostante il miglioramento costante della fiducia dei consumatori, in crescita anche a marzo, le vendite della distribuzione tradizionale sono state infatti più lente del previsto. Sull’andamento dei negozi incide certamente anche la concorrenza di GDO e web, ma i dati positivi registrati da Istat a gennaio per discount ed E-Commerce non sono bastati a riportare in positivo il bilancio complessivo del commercio.

In una situazione così fragile, le piccole superfici scontano anche un livello di tassazione molto alto, dovuto agli aumenti di imposta seguiti alla crisi. La difficoltà dei piccoli è evidente anche dai dati sulla natimortalità del settore. Nel 2017, infatti, l’emorragia di attività di attività di vicinato non si è fermata: complessivamente hanno chiuso senza essere sostituite, circa 10mila imprese del commercio al dettaglio in sede fissa, al ritmo di 27 negozi in meno al giorno.

Per fermare l’avanzare della desertificazione commerciale occorre mettere in campo misure mirate al sostegno delle attività di vicinato in maggiore sofferenza. In primi occorre bloccare gli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia. Ma ci pare ci pare doveroso anche estendere a tutte le tipologie di negozi il tax credit già introdotto dalla legge di bilancio a favore delle librerie indipendenti: un credito di imposta tra i 10 e i 20mila euro, da utilizzare in compensazione per far fronte a oneri fiscali (Imu, Tasi, Tari) e al pagamento del canone di locazione di esercizio dell’attività.

L’auspicio è che il prossimo esecutivo faccia sua questa nostra proposta: una scelta in tale direzione andrebbe ben oltre l’ambito fiscale, che offrirebbe solo lo strumento per dare attuazione a un preciso indirizzo di politica economica e sociale. Si porrebbe, in tal modo, un argine al fenomeno della chiusura delle attività commerciali. Un fenomeno che, in sei anni, ha prodotto la scomparsa di oltre 100mila esercizi di commercio al dettaglio, oltre un terzo dell’emorragia che ha interessato la piccola imprenditoria del nostro Paese. E che ha portato, nel corso dell’ultimo decennio, alla scomparsa di 639mila lavoratori autonomi.

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