Roma, addio botteghe storiche. Il commercio al dettaglio cambia faccia e lingua

Il commercio al dettaglio è ormai una prerogativa quasi esclusiva dell’ imprenditoria straniera. Tor Pignattara e Casilino, Pigneto e Tuscolana, piazza Bologna ed Esquilino, ma anche Trastevere, Borgo Pio, il centro storico e Prati: secondo la Confesercenti almeno il 20% delle attività commerciali gestite da romani sono passate di mano negli ultimi anni, finendo nella disponibilità di imprenditori principalmente africani e asiatici. L’ ultima fotografia sul fenomeno l’ ha scattata quest’ anno la Camera di Commercio di Roma, analizzando la composizione delle nuove imprese nate nel quarto trimestre del 2015. A fronte delle ormai 60mila società individuali a titolarità straniera, la comunità più numerosa proviene dal Bangladesh (12.235 imprenditori), seguita da quella cinese (3.333), egiziana (3.051) e marocchina (3.036). E se qualcuno volesse dare un numero alla capillarità dei minimarket e delle piccole rivendite al dettaglio, la risposta sarebbe semplice: 4.000 attività commerciali gestite da cittadini bengalesi e circa 2.200 da cinesi. Questo ha rivoluzionato il tipo di offerta commerciale della Capitale, dando al pubblico un servizio più flessibile, aperto giorno e notte, sette giorni su sette, e in molti casi più economico. Sul fronte dell’ occupazione il fenomeno si traduce in un esercito di lavoratori con minore formazione, ma vantaggiosi dal punto di vista salariale. Nel report 2016 sull’ economia laziale, la Banca d’ Italia ha calcolato che lo stipendio medio di uno straniero a Roma è inferiore del 10% rispetto a quello di un italiano. Un dato che racconta solo la faccia “pulita” del fenomeno. In una regione dove i richiedenti asilo hanno raggiunto quota di 19mila unità (una cifra raddoppiata in soli cinque anni), cresce una nuova classe di giovani stranieri che vanno ad ingrossare le fila del lavoro nero o sottopagato, e forniscono manodopera a molti di questi esercizi commerciali. Il pericolo che dietro l’ esplosione Articolo pubblicato su La Repubblica del 14-10-2016di una miriade di piccole realtà difficilmente controllabili, si nascondano fenomeni criminali, che vanno dall’ evasione fiscale al riciclaggio, è reale. Il business è enorme e infatti la Banca d’ Italia certifica che tra il 2012 e il 2015 la comunità cinese romana, quella economicamente più attiva, ha spedito in patria 2,1 miliardi di euro sotto forma di rimesse. A suonare il campanello d’ allarme – alla fine del 2014 – è stata la Guardia di Finanza che ha scoperto un’ organizzazione criminale capace di trasferire all’ estero, soprattutto in Cina, oltre un miliardo di euro, denari provenienti dalla vendita di merci contraffatte, frodi di mercato, evasione fiscale. Una partita interamente giocata a Roma, con la complicità di una multinazionale britannica specializzata nei trasferimenti di denaro e di sette agenzie di money transfer attive sul territorio.

Articolo pubblicato su La Repubblica del 14-10-2016

 

 

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